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LA SINDROME DI STOCCOLMA.
“Appunti del mio soggiorno in una capitale bella e cara, soprattutto cara.”

 

molti la chiamano la venezia del nord.

e così come per venezia, stoccolma è bella ma non ci vivrei.
e non ci ritornerei nemmanco, quattro giorni mi so bastati e avanzati.

 

alcune città ti restano dentro, e a me in tutta sincerità la capitale svedese non mi ha detto nulla.

la sindrome di stoccolma, quel fatto che hai l'impressione che un gruppo di parulani co le schiocche rosse  si so messi là per decidere come fare per attirare turisti, e fargli cacare tutto quello che tengono nel portafogli.
 

un enorme ospizio, dove si pranza a mezzogiorno e si cena alle sei e mezza.

dove a metà marzo, la domenica alle nove di sera, in pieno centro, i pub mettono le sedie sui tavoli e abbassano le serrande.

forse perché a quell'ora gli svedesi pigliano e se ne vanno nei boschi e entrano in un mini letargo che la mattina dopo, alle sette, vanno tutti a faticare, so tutti ultra-produttivi, girano in bicicletta, pigliano i mezzi pubblici, lo stato ti paga per andare all'università, ti danno na mesata se fai un figlio, le bollette dell'acqua non arrivano, e i barboni raccolgono le lattine e le bottiglie nella munnezza e le infilano nelle macchinette nei supermercati e si garantiscono na cusarella di soldi.

 

quello dicono il freddo.

e invece proprio il tempo m'è piaciuto assai, perchè ho acchiappato un freddo secco (forse perché era quasi primavera e non nevicava), che quando so tornato a Roma invece si so gelate le ossa.

quello dicono è l'umidità.

tra l'altro l'aria è pulitissima, in città girano tre macchine e venti tassì, non si sente un clacson, gli incidenti so quando cadi dal monopattino e ti sbucci le ginocchia.
 

ci sono però un sacco di cose avvilenti.

tipo che per un turista che viene da na città dove co sei euro ti mangi primo-secondo-contorno-e-limoncello, quando poi ti siedi in un locale sull'isola del borgo antico, spendi più di venti euro per un piatto unico di polpette e purè, nove euro pe na birra, e dodici euro per un calice di vino, e ti senti spuntare le morroidi.

 

il vino.
na bottiglia di vino a stoccolma costa quanto na cena completa a base di pesce in un ristorante a santa lucia.

motivo per il quale, tornato a napoli, so andato alla prima enoteca di piazza dante e mi so comprato un cartone da sei bottiglie del meglio primitivo, e me lo sono chiavato in corpo alla faccia dei ristoratori svedesi.

pure i piatti di salmone - che è sicuramente ottimo e freschissimo - te li vendono come se dovessero fare rifornimento all'ikea, quella di afragola però, e poi tornare a stoccolma a piedi co sta cascetta di pesce sulle spalle.

e tu dici abbuò ma mica devi andare pefforza nei ristoranti.

e invece sì, perchè lì non esistono rosticcerie a volo a volo o chioschetti – magari d'estate li monteranno nelle piazze, ma d'inverno trovi al massimo trattorie di almeno duecento metri quadri dove non te ne esci co meno di venticinque euro a testa.

 

quelli dicono che lì gli stipendi so alti, ma io che vengo dall'italia però mi fate sentire come la piccola fiammiferaia che vuole appicciare tutt cos.


essi sono ossessivi nell'ecocompatibilità, nel rispetto della natura, e soprattutto nel controllo totale.
infatti il personaggio più losco a stoccolma ero io, col mio bomberone fosforescente e la calzamaglia sotto al ginz.

la sicurezza prima di tutto.
pienz che all'aeroporto di skavsta, che è un capannone industriale immerso nel nulla arredato all'angolo delle occasioni dell'ikea, perquisiscono pure agli addetti stessi della sicurezza.
sarebbe ingeneroso un parallelo co gli scali secondari italiani, dove se sembri lontanamente un hostess la tua carta d'imbarco è un bacio soffiato verso quello ai monitor.
(l'aeroporto di skavsta è di un minimal inquietante, però è notevole la cabina fumatori vicino ai gate, che non ho mai visto manco in aeroporti giganteschi come istanbul o amsterdam.)

 

ma comunque.

stoccolma centro, palazzoni e megastore, gentryfication co la pala.

il centro antico – gamla stan, l'isoletta - somiglia a siena, co ristoranti dove ti scosono inevitabilmente le pacche.

il sud che dicono che è bohemienne e alternativo, e il localino più selvaggio ti vende un cocktail a quindici euro strisciando la carta, e il prezzo del whisky te lo misurano a centilitri.

 

per quanto riguarda le attrazioni imperdibili, le guide sponsorizzano

  • il museo della più famosa pop-band scandinava - quelli di dancing queen, mamma mia, e the winner takes it all - un gruppo formato da due coppie sposate, precursori dei nomi co le prime lettere dell'alfabeto – a ruota seguirono gli AC/DC, i CCCP, e i BABBA - quest'ultimi però non ottennero successo per via del nome che ricordava troppo babbasoni.
    sto parlando del museo sugli ABBA - che è come se vieni a napoli e i sightseeing prima di tutto ti portano co le audioguide fuori alla casa di mariomerola.

  • il museo vasa, un vascello che affondò appena fu messo a mare, grande scuorno per la svezia, che però avranno pensato guadd llà comm s'è mantenut bell, ma c n fott che è na figur emmerd, pensamm a ch'abbuscà 'e spaccimm re sord.

  • skansen, cioè tutta na collina dove pigliarono un sacco di case di legno antiche e le chiavarono là sopra e hanno assunto a un centinaio di loro e gli hanno detto di vivere come si viveva all'epoca per tramandare i vecchi mestieri e per far vedere ai turisti per esempio come si soffiava il vetro nel seicento e per non perdere le belle tradizioni di na volta, ovvero far cacare i denari ai turisti.
    all'interno c'è pure uno zoo co gli animali sociopatici che so costretti a tenere nguoll a tutti sti stranieri co le reflex e quindi assumono lo sguardo di mio cugino quando già aveva preso i biglietti per lo stadio e invece fu obbligato a andare a cena dai suoceri.

  • il museo di arte moderna e quello di fotografia, che saranno sicuramente belli, ma il museo degli ABBA abbassa la media artistica di qualsiasi cosa attorno.

 

fuori dal centro direzionale ci stanno ettari di giardini, boschi e parchi, dove la gente va a correre, porta il cane a cacare, ma soprattutto va a progettare na morte indolore appeso a un arbusto secolare.


si perché a stoccolma, specialmente d'inverno, o entri nella rota virtuosa fatica-palestra-parco-letargo, oppure è meglio che ti abboffi di pinnoli e muori nel tuo vomito.


e se na sera ti vuoi mbriacare, in preda alla depressione da società perfetta, comprare na bottiglia di vodka può diventare veramente proibitivo - se non tieni almeno tre denti del giudizio e non passi un test psico-attitudinale e non dimostri che sei responsabile sparando proverbi saggi in lingua lappone.

na bottiglia di vodka la puoi acquistare solo negli spacci statali, che però chiudono alle sei di pomeriggio, ti vanno cercando centinaia di corone svedesi – moneta che al cambio corrisponde uno a uno co un copricapo regale in oro – e ti chiedono pure sette documenti di riconoscimento, tra cui la tessera punti della ferrari, che però non esiste e quindi ti fai in culo.

in questo modo essi stanno cercando di debellare la piaga dell'alcolismo, e tutta na serie di altre sventure tra cui il divertimento tra i giovani, e i giovani stessi.

 

detto questo, dopo quattro giorni che ho girato da nord a sud, mi so finalmente messo sull'aereo e, dopo un viaggio della speranza tra navette e checkin, so arrivato alla stazione di piazza garibaldi.

e lì, la prima cosa che ho visto, è stato un giovane del bar di settantacinque anni, co la divisa sdrucita e il vassoio sotto alla scella, che stava aspettando i soldi dei caffè appena consegnati.

a quel giovane vicchiariello l'avrei preso e abbracciato per sempre.

 

uagliù, aria.
paradossale, ma finalmente aria sporca di casa.

(nell'immagine in alto, un giovane blogger svedese che dice ciao.)


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